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La trascendenza dell’immagine

AgoràDiCult, il blog di cultura fotografica della Fiaf, ci dà l’occasione per riflettere sulla fotografia impressionista. Un recente articolo dedicato a Eva Polak, fotografa neozelandese maestra del genere, sottolinea il suo modo di “trascendere il reale, al fine di attingere a ciò che lei vede, attraverso il filtro della personale sensibilità”.

Questo genere di fotografia ci propone immagini astratte, rappresentazioni nelle quali il soggetto subisce delle trasformazioni che siamo abituati a vedere in pittura, principalmente in quella impressionista, da qui il nome, riuscendo tuttavia a conservare inalterata l’atmosfera sua propria.

A questo proposito, e riferendosi alla pittura, Picasso così si era espresso: “bisogna sempre cominciare da qualcosa, in seguito si può togliere qualsiasi apparenza di realtà; non c’è più pericolo, perché l’idea dell’oggetto ha lasciato una traccia incancellabile”.

Ma la caratteristica principale del genere sta nella abilità nel catturare l’attimo fuggente, l’impressione di quel momento; non vi sono rappresentate storie, ma solo sensazioni. Niente dettagli ma atmosfere percepite dall’autore. Sembra un paradosso. Per oltre un secolo la fotografia ha cercato di rappresentare più dettagli possibili, ha cercato di ottenere immagini sempre più nitide facendo sforzi inimmaginabili per avere tecnologie che permettessero questi risultati. Si pensi alle ricerche sulle emulsioni delle pellicole, alle ricerche sui vetri delle lenti, ai disegni delle lenti degli obiettivi e recentemente sull’aumento in progressione geometrica dei pixel dei sensori. Parrebbe che il mezzo tecnico ci abbia stancato e che avessimo scoperto il vero senso della rappresentazione che scaturisce dalla nostra personale e individuale sensibilità. Via dunque la buona definizione e la fedele rappresentazione del reale: conta molto di più un’immagine composta da pennellate di luce purchè sia quello che noi ‘vediamo’. Viene rivalutato il colore con le sue gradazioni e le sue sfumature, bastevole in sè a suscitare sensazioni entusiasmanti.

Le tecniche per ottenere il risultato voluto, e non pensiamo che siano semplici e dettate dal caso, spaziano dall’uso di tempi lunghi, da movimenti impressi volutamente alla fotocamera, dalle sfocature, all’uso di vaselina spalmata sull’obiettivo e da soggetti semitrasparenti posti immediatamente davanti alla camera. Le prove si sprecano prima di ottenere risultati accettabili, anche se oggi con il digitale è più veloce e più economico. Le prime volte si ottengono prevalentemente foto mosse (o sfocate) ma con la pratica si riesce a controllare il mezzo per ottenere quello che ‘sentiamo’ e che magari vediamo nei sogni.

A questo punto il problema diventa l’osservatore. Siamo troppo abituati a considerare la fotografia come una fedele copia della realtà, si dice così e invece non lo è nemmeno quando i dettagli si sprecano; poi quando guardiamo una foto di stile impressionista la bolliamo subito come ‘mossa’, ‘sfuocata’, ‘mal riuscita’, ‘da gettare’. Non ci viene in mente di fare quello sforzo che mettiamo in atto quando guardiamo un quadro impressionista, quell’atteggiamento che ci permette di capire ‘come’ vedeva l’autore. E’ una questione di abitudine: funziona con la pittura ma non con la fotografia.

Anche nel mio circolo fotografico c’è qualcuno che da qualche anno fotografa con questo stile senza aver mai conosciuto i lavori della Polak, ma i consensi per lui sono deludenti; i commenti sono sempre del tipo: ‘manca un punto a fuoco’, ‘manca un punto fermo’, ‘manca il soggetto’, ‘sono solo giochini’; e quando mancano gli argomenti per condannare l’immagine si sente un ‘beh… sì, anche…’ senza entusiasmo. E intanto Eva Polak spopola.

Andrea Scandolara

Mostra di Antonio Lovison

Centro Culturale San Gaetano
Padova Photo-Graphia
Aprile 2013

E’ raro incontrare, anche in una vita da sempre coinvolta nel  mondo dell’immagine, una personalità che subito si imponga con l’autorità e l’originalità di una caratterizzazione definita, immediatamente riconoscibile, chiara nelle sue intenzioni, impeccabile nei risultati. In altre parole, per usare un termine desueto, un’opera non soltanto”interessante”, “coinvolgente”, “di ricerca”, come la contemporaneità ci ha costretto a definire la maggior parte di ciò che è sempre ricerca, ma non sempre (per dirla con Picasso) “ritrovamento”. Semplicemente, un’opera bella, immediata da capire, che ha risolto brillantemente i problemi che ha impostato.

@ Antonio Lovison – Dicotomia. Mostra “Circuito Aperto” al Centro S. Gaetano di Padova

In che cosa consiste dunque la magia di Lovison? In un’operazione semplice che ogni fotografo cerca più o meno consapevolmente di attuare con maggiore o minore successo. La trasformazione dell’accidentale verso una forma di assoluto, attraverso la sottrazione del tempo, da ciò che il tempo crea ed immediatamente distrugge. Fermandolo e facendolo diventare eterno, dando legittimità al caso, nobilitando un momento visivo assolutamente banale ed insignificante, trasformato dallo sguardo creativo che ha colto l’informe e lo ha elaborato attraverso una organizzazione formale compiuta,

Con quali strumenti ciò può avvenire? Naturalmente con la geometria, con la organizzazione razionale dello spazio, che può trasformare  il casuale in ordine e  bellezza.

Poiché un aspetto saliente dell’arte contemporanea, può essere descritta come storia della distruzione della forma, certamente Lovison non rischia di abbandonarsi alle mode del tempo, potendosi definire le sue composizioni come compostamente classiche, forti di granitica compostezza.

Non si potrebbero descrivere altrimenti queste immagini nate da scelte di materiali privi di forma e valore (ciò che lo sguardo normale mai degnerebbe di riconoscimento ed attenzione) attraverso un processo di selezione, eliminazione di elementi incongrui. messi in scena per mezzo di un’organizzazione geometrica che fa splendere l’accidentale verso l’atto creativo.

La bellezza non è nelle cose, ci dimostra Lovison, ma nella mente  di chi ha guardato per se stesso e per noi; ha scelto, elaborato, ed infine comunicato l’esito del processo. Di ciò ogni osservatore non può non essergli grato.

Il mondo è caotico ed informe: Lo sguardo di un artista può compiere l’atto demiurgico di distillare bellezza dal caos; mettendo in circolo quella bellezza che dimora in lui e che la realtà in certi magici momenti gli dà l’occasione di restituire.

 Renzo Saviolo

Un triste annuncio …. Gabriele Basilico ci ha lasciato

Dopo una inesorabile malattia a soli 69 anni, ci ha lasciato un grande della fotografia italiana ed un amico “GABRIELE BASILICO”.

Solo il novembre scorso l’ho incontrato al Castello Sforzersco a Milano, in occasione della presentazione del suo ultimo libro “Leggere le Fotografie” ( sembra che sia già esaurito).  Ho video-registrato il suo commento e nel rivederlo, mi ha colto grande tristezza e angoscia da indurmi a scrivere su questo blog per ricordarlo.  Riporto alcune immagini degli ultimi incontri tra cui a Garda con Gustavo Millozzi, nel maggio scorso, in occasione della consegna dell’onorificenza di Maestro della Fotografia da parte del Presidente delle FIAF Claudio Pastrone ed a Milano.

ciao Gabriele

Vedi la recensione apparsa  sulla Stampa.it (http://www.lastampa.it/2013/02/13/societa/e-morto-gabriele-basilico-il-fotografo-delle-citta-J0a7Y6y3jDVdwmnTntKDEO/pagina.html).

Rassegna stampa

Un sentito grazie a Gustavo Millozzi per la redazione della rassegna stampa che, periodicamente già da alcuni anni, ci arriva. Ritengo sia una cosa molto utile, fonte di riflessioni che ciascuno di noi può fare dopo averla letta. Ma il mio ringraziamento è impreziosito dalla convinzione che per farla ci vuole tanto tempo e tanta passione per tutto ciò che è legato alla fotografia.

Dennis Ziliotto presenta ONIRICA’S

Martedì 10 Aprile avremo ospite al Circolo Fotografico Antenore

Dennis Ziliotto

fotografo freelance di Monselice (PD).

I suoi lavori tra i quali “ONIRICA’S” vogliono “racchiudere fantasia e personaggi bizzarri stanchi di passeggiare tra i propri giorni che si inseguono l’uno uguale all’altro“.

Il suo obiettivo è “creare immagini riconoscibili pur senza riportare la mia firma.

Nel suo sito  www.dennisziliotto.com afferma che ” Le immagini sanno parlare e sanno farlo al meglio, questo è fuori discussione, a far la differenza resta comunque il percepito, la medesima fotografia sa raccontare una storia sottovoce o urlarla con irriverenza, ecco allora che diventa importante l’occhio di chi guarda e l’orecchio di chi ascolta“.

Dal sito internet riportiamo alcuni esempi delle sue opere: