Il 18 settembre Gustavo Millozzi inaugura la mostra “VENEZIA 1957-1963 / TERRE 1967-1981”.

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Cari soci ed amici del GFA,
con grande piacere vi informo che il nostro presidente onorario Gustavo Millozzi da sabato 18 settembre a domenica 17 ottobre esporrà presso Palazzo Zuckermann a Padova, la sua mostra “VENEZIA 1957-1963 / TERRE 1967-1981”.
(Inaugurazione sabato 18 settembre alle 16.30)
La mostra, inserita nell’ambito del Festival Internazionale di Fotografia – Photo Open Up e recante il riconoscimento di FIAF, rappresenta una occasione imperdibile per apprezzare la fotografia d’autore.
Di seguito la narrazione del Maestro Millozzi circa i contenuti della sua mostra.
Vi aspettiamo!
Michela Checchetto
 
 
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VENEZIA 1957 – 1963
Tutti conoscono Venezia, in tutto il mondo, per le sue bellezze architettoniche e la sua particolare configurazione urbanistica per cui ho sempre tralasciato nelle mie immagini di riservare la mia attenzione ai suoi aspetti più noti. La Serenissima ha tante cose in più da offrire al nostro sguardo oltre a PalazzoDucale, a Piazza San Marco con la sua Basilica ed alle gondole specialmente se ci si inoltra nelle “fòdare” come vengono in dialetto chiamate le zone periferiche più genuine e meno frequentate dal turismo di massa. Ho abitato a Venezia per oltre vent‘anni: avevo sei anni quando sono arrivato e proprio allora mi è stata regalata la mia prima macchina fotografica, una Zeiss Ikon Baby Box con la quale ho realizzato i miei primi scatti in ambito familiare: avevo quattordici anni quando con l’acquisto di una Comet Bencini ho cominciato a fotografare, seguita velocemente da altri migliori apparecchi, anche gli amici e la città con la sua gente. Di tali immagini ho purtroppo solo un ricordo dato che di esse nel tempo sono andati persi pure i negativi. Ho poi avuto la fortuna di fare amicizia con il figlio di uno dei soci del Circolo Fotografico “La Gondola” e nel 1957 sono stato generosamente (Paolo Monti apprezzò particolarmente alcune mie fotografie di bimbi veneziani) ammesso a far parte di quel sodalizio che era stato già universalmente riconosciuto quale messaggero della “Ècole de Venise” ove il codice fotografico era stato collegato, con un linguaggio inedito derivato dal neorealismo, ad una attenta osservazione della città, dei suoi abitanti, della sua laguna, come pur io sentivo di voler esprimermi. Avevo allestito, da oltre quattro anni nella soffitta della mia abitazione, una camera oscura dove per quasi un decennio ho stampato le fotografie: consigli tecnici che mi furono dati da uno dei soci del Circolo mi furono preziosi ed è così che ho cominciato ad inviare alle mostre i miei lavori che furono via via sempre più accettati ed anche premiati. Questo fu l’inizio del mio lungo viaggio, non ancora terminato, nel mondo della Fotografia. Ho sempre prediletto, nel ritrarre Venezia, città che considero mia d’adozione e che amo profondamente, l’uso del bianco e nero che spero mi abbia permesso, con chiarezza e senza fioriture, di raccontare la vita, il vero volto di questa città ed il tempo in cui vi ho vissuto, senza distrarre col colore, che reputo non mi avrebbe permesso di far conoscere oggi la vita, gli aspetti compositivi e le emozioni che mi avevano coinvolto. È una Venezia intima che ho voluto fissare, quella che racconta il lento e tranquillo trascorrere delle ore e dei giorni, di un vivere forse perso per sempre, quello delle “ciàcole” in stretto dialetto agli angoli di un ponte o sulle porte prospicenti ad anguste calli, la città in cui ancora erano padroni i grigi colombi e nelle barene se ne stavano i bianchi “cocàì”, dove l’”aqua alta” era considerata un evento da aspettarsi e da accettare e che mai si sarebbe pensato arrivasse anni dopo come “aqua granda”. Mi auguro così che possiate rivivere attraverso i miei occhi Venezia e che anche voi la vediate ed amiate, anche se ora mutata, come città viva ed eterna.
 
TERRE 1967-1981
Non ricordo precisamente come ho scoperto i luoghi oggetto delle “Terre”, forse per caso, passando per lavoro in auto nella zona di Mira alla fine degli anni Sessanta: avevo sempre con me la macchina fotografica e ho cominciato a scattare le prime immagini.
Da quel giorno ci sono tornato molte volte, per oltre dieci anni, affascinato dal colore – una novità per me convinto sostenitore della fotografia in bianco e nero – e dalla materia, da quel terreno così particolare, modificato dall’uomo, tanto da diventare una superficie innaturale e irreale.
Ho sacrificato numerose paia di scarpe, indumenti ed attrezzature per addentrarmi a documentare quel paesaggio unico, così irrimediabilmente violato dal materiale chimico che paradossalmente lo generava. Questo processo modificava il terreno settimana, dopo settimana, scatto dopo scatto, portandomi a documentare, con il passare degli anni, la completa scomparsa della natura.
Approfondendo in seguito l’origine di queste terre ho potuto appurare come si trattasse di un deposito di ceneri di pirite, materiale di scarto dagli impianti per la produzione di acido solforico di Porto Marghera, al quale si aggiunse nel tempo altro materiale, sempre di scarto che causò un vero disastro ambientale inquinando irrimediabilmente l’area…
Mentirei se affermassi che questi scatti nascono da una volontà di denuncia: il mio iniziale intento di realizzare delle fotografie che cogliessero la bellezza del colore e della materia non è mai venuto meno, ma è diventato ricerca, anche ostinata, di come la natura cerchi sempre, nonostante tutto, la vita.